La tradizione tutta italiana per il caffè ha il suo tempio: il bar, dove ogni giorno ci si reca per la colazione prima dell’ufficio o per un aperitivo prima di cena, o anche solo per ritagliarsi un po’ di tempo sorseggiando un ottimo espresso o un cocktail elaborato.
Un provetto barman è essenziale per avere sempre il pienone di clienti alla mattina come all’happy hour, ma le forniture di qualità non possono mancare: il rituale del caffè non ammette errori o materie prime di seconda categoria, a partire dalle macchina professionali fino alle tazzine di porcellana.
La macchina da caffè
Non c’è eccezione che tenga, in Italia il bar ha soprattutto una funzione: quella di fornire impeccabili caffè ai propri clienti. In pochi altri Paesi del mondo il rito e la gestualità della «tazzulella» arrivano ai livelli parossistici del Belpaese, e un bar che voglia avere successo non potrà prescindere da questo fondamentale elemento anche nella previsione delle sue forniture.
Per prima cosa, come si può intuire bisogna scegliere la macchina professionale giusta: le marche nostrane sono famose ovunque per l’altissima qualità media, ma prima di pensare a quale casa rivolgersi è necessario prendere in esame alcune importantissime variabili.
Bisogna rendersi conto da subito che sarà una spesa piuttosto elevata, tra gli investimenti maggiori che vengono effettuati al momento dell’apertura di un bar, ma dalla macchina dipende molto della fortuna del locale: ne sono testimoni anche tutti i bar che si sono «reinventati» soprattutto in termini di diverse tipologie di caffè servito (marocchino, al ginseng, nocciola, americano, jamaican coffee…) in una versione tutta italiana di Starbucks.
Per scegliere il vostro modello, dovrete prima di tutto fare una stima di massima di quanti caffè prevedete di servire ogni giorno, e poi dello spazio che avete a disposizione. La macchina da caffè dev’essere collocata in un posto dietro il bancone sufficientemente ampio, ma abbastanza comodo per essere raggiunto senza fatica e non ostacolare i movimenti dei barman, soprattutto nei momenti di punta.
Se servire caffè non è l’attività principale del bar – magari perché ha il suo fiore all’occhiello in altri prodotti, dalle cioccolate ai succhi di frutta bio – allora si può prendere in considerazione l’acquisto di una semplice macchina professionale con cialde monodose. È una soluzione ideale in caso di somministrazione ridotta nelle quantità, perché il caffè confezionato, una volta aperto, deve essere consumato in fretta altrimenti l’ossidazione altererà il gusto dei grani: in genere, ventiquattr’ore sono sufficienti per provocare modifiche al sapore che verranno sicuramente colte dai clienti.
A questo inconveniente rimedia la cialda, che essendo ermetica e monodose annulla il problema del tempo in cui il caffè rimane a contatto con l’aria. Strutturalmente non si tratta di apparecchi diversi da quelli che è comune trovare nelle case e negli uffici, ma sono naturalmente macchine più robuste, realizzate con materiali di pregio e capaci di resistere a un uso comunque più intenso. Ne esistono di ottimi modelli con la possibilità di produrre due tazzine per volta.
Nei casi più comuni, invece, bisognerà prendere in considerazione il numero di «gruppi» che si useranno, cioè la capacità della macchina di produrre caffè contemporaneamente, tutti dello stesso livello qualitativo. Pensate soprattutto ai momenti di punta, al mattino o dopo pranzo, e a quanti clienti sono soliti prendere il caffè nel vostro bar per decidere un corretto numero dei gruppi. Per quanto riguarda i prezzi, un’automatica o semiautomatica può costare da poche centinaia di euro a circa duemila, ma le marche migliori, con tre o più gruppi, arrivano senza difficoltà anche a diecimila euro.
Un’altra variabile importantissima nella scelta della macchina è la facilità della manutenzione e della pulizia: questi apparecchi vanno infatti costantemente curati e controllati per evitare che il gusto del caffè prodotto non si alteri in alcun modo, anche perché il caffè lascia numerosi residui di grasso.
Molti bar si fanno vanto della propria miscela, ottenuta con accurata pressatura e macinatura. Esistono macinini di due tipi, a macine piatte e a macine coniche; i primi sono solitamente più economici, i secondo danno risultati migliori. Nel caso di macinini a macine piatte, è comunque necessario cambiare le macine ogni 3/6 mesi.
Come si fa a sapere se la macinatura è stata fatta a regola d’arte e, quindi, il nostro espresso è degno di essere considerato degno di nota? Con la “regola dei venticinque secondi”, che ogni buon barman conosce: una miscela è al punto giusto quando permette di ricavare una tazzina di caffè in 20-25 secondi circa, con la giusta percentuale di crema.
Tazzine e altri accessori per la caffetteria
Tornando alle forniture per la caffetteria, a questo punto vengono le tazzine. Come scegliere quelle giuste, con relativi piattini e cucchiaini? Anche in questo caso il contenitore è fondamentale, e una tazza scadente non farà che alienarvi le simpatie dei clienti. Ricordatevi che per un semplice caffè la concorrenza può essere molto alta, e quindi non si può trascurare nessun dettaglio, nemmeno relativo alle tazzine.
Va detto prima di tutto che esistono in molti casi degli accordi da prendere con le società di torrefazione dalle quali il bar si rifornisce, e che insieme al caffè possono consegnare le proprie tazzine con il logo; l’alternativa è acquistarle, magari personalizzate. La soluzione più economica è chiaramente la prima, la seconda permette invece di avere piattini e tazzine di qualità di norma più elevata, a un costo superiore.
Se si vuole risparmiare, in quanto a prezzo le porcellane cinesi sono difficilmente superabili: permettono di acquistarne grandi lotti a un prezzo ridotto e danno risultati discreti. Le tazzine migliori come qualità sono prodotte invece in porcellana dura feldspatica, con zero porosità e grande durezza e compattezza. L’isolamento termico è ideale e aiuta a creare la caratteristica «crema» sulla superficie del caffè.
Quando scegliete una tazzina, assicuratevi che la capienza sia giusta, ovvero 25 millilitri: più grande porterà a espressi «slavati», più piccola non darà la giusta soddisfazione al cliente. Cercate anche accessori che abbiano un bel colore bianco brillante, perché aiuta a esaltare i riflessi del vostro caffè. Inoltre, diffidate delle tazzine troppo piccole perché nella maggioranza dei casi non prevedono abbastanza “spazio di testa”, ovvero la porzione del contenitore che separa la bocca dal livello del liquido: si tratta invece di un accorgimento fondamentale, perché per apprezzare olfattivamente un buon caffè è necessario che questo possa «respirare» a dovere nella sua tazzina prima di essere gustato.
Nel caso che alle bianche preferiate delle tazzine colorate, attenzione che non siano stati applicati smalti che possono essere nocivi, con pigmenti che contengono sostanze assolutamente da evitare come il cadmio o il piombo. Indispensabile, quindi, accertarsi che gli standard di qualità siano stati rispettati, e ancora meglio se la produzione è italiana, magari con procedimento «sotto smalto» (si riconoscono perché al tatto non presentano alcun tipo di dislivello).
Un buon caffè va sempre accompagnato dallo zucchero: non soltanto quello raffinato bianco, ma se possibile anche vari tipi di zucchero di canna e dolcificante, per venire incontro alle esigenze di ogni cliente. Alle bustine si sono affiancati gli sticks, con la caratteristica forma «a bastoncino»; anche qui prima di tutto è buona regola controllare se possono esserci contratti di fornitura inclusi in quelli del caffè, come per le tazzine, e valutare se è il caso di personalizzarle con il nome e il logo del bar. Per fare una stima, cercate di prevedere per lo zucchero di canna un 25% del totale delle bustine o stick, e una quantità analoga di dolcificante.
Gli accessori per i drink: lo shaker
La seconda funzione di un bar in Italia, dopo il caffè, è quella della somministrazione di drink e cocktail. L’arte del «bartender» negli ultimi anni si è parecchio raffinata, e tra barman acrobatici e creatori di nuovi, inediti accostamenti oggi il panorama è molto vario.
Tra le attrezzature che non possono mancare in un bar ci sono quindi gli accessori professionali per la preparazione dei drink, a partire dallo shaker, lo strumento che si usa per la miscelazione e lo scuotimento dei cocktail. Esistono tre diversi tipi di shaker:
- Cobbler shaker, anche detto «tradizionale» o «continentale» perché è il più usato in Italia e in Europa. È metallico, formato da una parte inferiore e due superiori incastrate l’una nell’altra, di cui la prima, detta «cupola», è traforata e ha funzioni di filtro.
- Boston shaker, il modello più «scenografico», anche detto «americano». La parte inferiore è di metallo (di solito acciaio o alluminio), la parte superiore è trasparente, in plastica o vetro, ed è quella dove vengono inseriti gli ingredienti. L’eventuale «strainer», una sorta di colino metallico, serve se nel cocktail è previsto anche del ghiaccio tritato (nel cobbler shaker invece è inutile). È una buona scelta se si ha bisogno di preparare molti cocktail uguali insieme, perché è di dimensioni superiori rispetto al cobbler (fino a quattro drink per volta).
- Shaker francese: è il meno diffuso, privo di filtro e di parti trasparenti, formato semplicemente da una parte superiore e da una inferiore.
L’attrezzatura minima da barman prevede anche la presenza di uno stirrer, o agitatore, un semplice bastoncino di metallo piatto per mescolare la bevanda col ghiaccio nel mixing glass quando deve essere solo agitata e non shakerata (come il celeberrimo Martini di James Bond). Lo strainer manuale serve invece a separare il cocktail dal ghiaccio tritato, filtrando il drink in modo da far passare solamente il liquido, ed è disponibile in diverse grandezze.
Apribottiglie e sifoni
Ugualmente importante per il barman è l’apribottiglie. L’apribottiglie piatto è più che sufficiente per bottiglie di birra, bottiglie d’acqua minerale o, genericamente, le bevande con tappo di metallo.
Se nel proprio locale si serve molto vino, l’ideale è invece il cavatappi da sommelier. In dotazione ha una lama per tagliare la capsula dal collo della bottiglia, la spirale autofilettante che entra nel tappo e un dente mobile, di solito con due diversi scalini, con il quale si procede all’estrazione del tappo facendo leva senza sforzo. Garantisce risultati eccellenti ed è praticamente indistruttibile, a differenza del cavatappi casalingo «ad ali» (o levatappi) nel quale il meccanismo a dentini può incrinarsi o danneggiarsi in caso di bottiglie particolarmente «toste».
Esistono anche molti altri tipi di cavatappi per bottiglie con tappo in sughero: il più semplice è il «tirabuscion», formato soltanto dalla spirale di metallo piantata in un bastoncino di legno perpendicolare. A meno di non essere molto pratici, va bene solo per bottiglie «giovani» e comporta un certo sforzo rispetto ai modelli più moderni. Ultimamente si sono affermati i cavatappi da parete, il cui prezzo però è significativamente superiore (sui 100-150 euro), col vantaggio di una maggior velocità nell’apertura delle bottiglie.
Un altro accessorio importante è il sifone per soda, selz o acqua minerale: i più comuni hanno la capacità di un litro e sono alimentati dalle cartucce di ricarica, che in genere costano un po’ meno di un euro l’una. Speciali tipi di sifone possono anche essere usati per particolari preparazioni calde o fredde, in questo caso hanno una struttura più complessa con vari beccucci.
Inoltre un risparmio considerevole rispetto alla normale acqua frizzante, se si prevede un suo uso intenso nei cocktail che vengono preparati, è rappresentato dai gasatori: alimentati da apposite bombole che «sparano» l’anidride carbonica nelle speciali bottigliette, consentono di creare un litro o più di acqua frizzante con la semplice pressione di un tasto, rappresentando per il bar anche un non indifferente vantaggio logistico visto che si viene ad annullare la necessità di pesanti pacchi di bottiglie di plastica e tutte le problematiche relative al loro stoccaggio e alla gestione dei rifiuti.
Il «corredo» indispensabile di un barman di buon livello è ancora lungo è può prevedere una serie di accessori molto complessa. Non può mancare alla dotazione uno spremilime/spremilimone, una buona serie di “barmat”, cioè i tappetini in gomma che si sistemano sul banco al momento del mixing per evitare macchie, i bar spoon e un nutrito catalogo di versatori e di tappi dosatori.
Un capitolo a parte è quello del «barman molecolare», nuova sorta di alchimista esperto in «mixology», e cioè l’arte di associare la chimica e i suoi principi alla preparazione dei drink. Agli ingredienti tradizionali se ne associano altricome fibre vegetali (tra tutte, l’agar-agar), le alghe, il ghiaccio secco, il bicarbonato di sodio o l’azoto liquido.
Si apre quindi un universo di forniture esotiche che variano caso per caso, come le capsule di ghiaccio secco conservate ad almeno ottantadue gradi sotto zero per creare il caratteristico «fumo» in fuoriscita dal drink, ideale per serate spettacolari; oppure le capsule per la riduzione di distillati, liquori e alti drink molto forti, che permettono di gustare in una vera esplosione di sapori e aromi tutta la potenza di un alcolico a elevata gradazione in quantità ridottissime.
In questo caso, ai normali accessori da barman si accostano alambicchi e dosatori misurati con grande precisione, macchine per il sottovuoto, «pistole» per creare il fumo con il ghiaccio secco e altro ancora.
I tumbler e le coppette da cocktail
La scelta dei bicchieri in un bar deve essere fatta con molta cura. La spettacolarità dei cocktail richiede contenitori adeguati, ma anche distillati e vini devono essere serviti nei bicchieri giusti: per un esperto, prima del momento dell’assaggio esistono infatti varie fasi di apprezzamento del liquido che stanno per bere. In primo luogo viene fatto un esame visuale, pertanto il bicchiere deve consentire di cogliere le sfumature di colore e di creare il necessario contrasto per apprezzare la consistenza del liquido; in secondo luogo c’è il momento dell’esame olfattivo, che impone un certo spazio perché il liquido «respiri» e chi sta per gustarlo possa sentirne al meglio l’aroma sprigionato.
Quando scegliete i bicchieri per il vostro bar, dovrete per prima cosa tenere conto dell’uso continuo al quale saranno sottoposti. Il bicchiere deve quindi essere robusto (soprattutto nei bordi, affinché non si scheggino, un tipo di rottura che a volte è difficile da vedere), perfettamente trasparente, non costare troppo, avere una buona stabilità sul bancone; inoltre, nel caso dei bicchieri più semplici e utilizzati più spesso, deve essere stoccabile (non c’è nulla di peggio che avere decine di bicchieri per l’acqua o le comuni bibite con la base troppo larga rispetto alla bocca).
Se il vostro bar si pregia delle proprie etichette ed assume un ruolo comparabile a quello di un’enoteca, il consiglio è di disporre di un certo numero di bicchieri di cristallo di alta qualità, nelle varie forme e fogge necessarie per i diversi vini. In ogni caso è da tener presente che è praticamente impossibile scegliere un modello di bicchiere «universale» anche solo per le bevande, soprattutto per il frequente impiego del ghiaccio che richiede misure di una certa altezza.
Le tipologie di bicchieri che non possono comunque mancare in un bar per le bibite generiche sono in primis i «tumbler», ovvero i classici bicchieri cilindrici, senza gambo, con una base più o meno spessa. Servono per una grande quantità di drink e bevande e, dopo le tazzine da caffè e insieme ai bicchieri da cocktail, sono quelli che si renderanno necessari più spesso. Ecco le diverse tipologie di tumbler con le bevande alle quali di solito sono associati:
- Tumbler basso. Viene usato per i distillati che vengono serviti lisci, come il whisky e vari tipi di liquori.
- Tumbler medio. Alto e stretto, è l’ideale per succhi di frutta e per aperitivi di vario tipo. In genere, il tumbler basso e il tumbler medio possono essere alternativi l’uno all’altro, anche se sarebbe meglio disporre di entrambe le misure.
- Tumbler alto. Questo tipo invece è indispensabile, perché è il più capiente di tutti e per tanto va usato tutte le volte che vengono servite bibite con ghiaccio o genericamente long drink.
Al posto del tumbler si può anche ricorrere alle varie fogge dell’old-fashioned, più bombate e svasate. Lo shooter invece è il bicchierino che serve per i drink da bere in un solo sorso, come la tequila.
Per i cocktail si fa riferimento invece alle apposite coppette, sia quella piccola, detta “Martini”, sia quella più alta e capiente per presentazioni particolarmente elaborate. La scelta del bicchiere giusto per i cocktail dipende comunque in gran parte dalla personalità del barman e dalla sua sensibilità a determinate caratteristiche dei drink, in modo che questi possano offrirsi al meglio al cliente: non è inusuale che un bartender faccia un ampio uso anche dei tumbler più alti e di old-fashioned che permettono al cliente di continuare e miscelare con il proprio bar spoon la miscela (ad esempio per il mojito), operazione che con le classiche coppette è molto difficile da fare senza bagnarsi o macchiarsi.
I vini liquorosi vengono serviti in bicchierini con stelo, mentre il cognac richiede il caratteristico ballon. Ci sono poi vari tipi di bicchieri per acquaviti, a seconda che siano giovani o più mature, che il profumo sia più o meno persistenti e così via. Cercate di non rimanere senza qualche bicchiere per l’Irish Coffee – i “puristi” non accettano altri recipienti per la loro bevanda preferita – e calcolate un buon numero di bicchieri per bevande calde (come il grog, il punch, il vin brulè), dotati di manico per non scottarsi.
Una particolare tipologia di bicchieri sono i cosiddetti “rocks“, che quando si rompono si riducono in frammenti a forma di cubetti di vetro. Costano poco, sono impilabili e soprattutto, in caso di rottura, non sono un pericolo per i clienti e gli avventori. In altre parole, sono una scelta perfetta per i momenti in cui si prevede un particolare affollamento, come le serate con musica dal vivo, gli “happy hour” e così via.
Infine, se servite gelati, pensate a procurarvi una discreta quantità di coppette e bicchieri da gelato: quelli per affogato devono essere alti e stretti, in modo da far sì che il gelato stia il più possibile a contatto con il liquido (caffè, whisky, amarena e così via) e possa con questo mescolarsi; sono anche ottimi per i topping con la panna montata. Le coppe ampie, invece, servono quando ci sono preparazioni elaborate, magari con la frutta, mentre quelle basse sono ideali per le classiche «palline» di gelato.
I bicchieri da birra
Anche i bicchieri da birra hanno varie dimensioni: c’è quello tipico da pub inglese, il calice, il bicchiere «weizen» alto e stretto, i bicchieri a calice… anche qui molto dipenderà dalla natura del bar: se si pregia di avere diversi tipi di etichette particolari e poco conosciute, sarà bene che si rifornisca di bicchieri adatti. Mai come in questi casi il contenitore è fondamentale per una giusta presentazione del contenuto.
Ecco alcune tipologie di bicchiere per la birra:
- Altglas. Serve per birre di tipo Kolsch e Alt, di piccole dimensioni (0,20 o 0,30).
- Balloon. Simile al bicchiere per il cognac ma più alto e con gambo più lungo, ha lo stesso scopo, e cioè con la sua particolare forma «a chiudere» concentrare gli aromi. Si usa soprattutto per le birre che vengono definite «da meditazione» e hanno molti punti in comune con liquori e distillati. Il calice a chiudere è simile e viene usato soprattutto per helles e pils.
- Boccale tedesco. È quello classico che si vede in qualsiasi Oktoberfest. La sua caratteristica principale è legata allo spessore del vetro, che consente di conservare lo spessore della birra; essendo un bicchiere molto ampio, questo è indispensabile perché anche l’ultimo sorso sia gustoso quando il primo.
- Coppa. La sua particolare forma si adatta soprattutto a birre robuste e complesse, come le strong ale, e permette di dare il giusto spazio a una copiosa quantità di schiuma.
- Flute. È il bicchiere da spumante, e per le birre si usa soprattutto quando queste sono molto delicate, alla frutta o con un fine perlage.
- Pinta. È il classico bicchiere «da Guinness», anche se non è particolarmente generoso per quel che riguarda la schiuma. Si usa soprattutto per le ale britanniche.
- Tulipano. Forma che si incontra soprattutto in Belgio, è ideale per la schiuma e ha sufficiente «spazio di testa» per apprezzare al meglio le qualità olfattive della birra.
- Tumbler. Il tumbler cilindrico può essere usato anche per le birre, anche se non più molto comune. Per le antiche gueuze belghe è comunque ancora oggi la scelta migliore.
- Weizenglas. Ha una capacità fissa, cioè mezzo litro, è molto stretta ed è ideale per le birre che fanno molta schiuma, come appunto le weizen e le birre a elevata carbonazione.
Per quanto riguarda le capienze, bisogna tener presente che il «birrino» il bicchiere dev’essere molto piccolo, da 12,5 cl, mentre la birra piccola viene servita in bicchiere con una capacità di 20 cl; la media si serve invece in bicchieri da 40 cl, mentre la pinta americana ha bisogno di un po’ più di spazio (47,3 cl) e quella inglese ancora di più (56,8 cl). La birra grande viene invece servita in bicchieri da litro.
Preparsi alla colazione…
Lo scenario è di quelli classici: otto del mattino, un bar del centro, decine di persone che ordinano un espresso o il classico «cornetto e cappuccio», mettendo a dura prova la resistenza dei barman.
Il momento della colazione è un rito per gli italiani, che nel loro bar preferito non rinunciano alla «coccola» di un caffè eseguito a regola d’arte o di una fragrante brioche. Vediamo insieme quali sono le forniture che non possono mancare per offrire una colazione come si deve.
Croissant e brioche, innanzitutto, non devono essere abbandonati a loro stessi ma essere ospitati dalle apposite vetrine con cupole riscaldate, in modo da risultare sempre tiepidi e fragranti. Ottime sono quelle già divise internamente con separatori (orizzontali o a ripiani) per custodire ordinatamente le brioche alla crema, alla marmellata, al cioccolato o quelle vuote.
Il prezzo per un modello medio va da circa duecento euro ad almeno il triplo o il quadruplo per i modelli più esclusivi, come quelli con inclusa l’illuminazione a led. Molto apprezzate anche quelle rotonde per torte o crostate, anche queste a due o più piani. Per i piatti freddi, se ne offrite, va ovviamente prevista una vetrina refrigerata, meglio se in acciaio in inox.
A differenza degli aperitivi, che tendono a delocalizzarle la parte del bar destinata al rifornimento del cibo, vetrine e vetrinette trovano posto soprattutto sul bancone: è bene quindi che non diano fastidio né ai clienti né ai barman, e che non siano troppo alte soprattutto se il bancone è un po’ più alto della media.
In alternativa, se il traffico è tale da rendere inutile una vetrina riscaldata vista la velocità con cui i croissant «spariscono», vanno benissimo alzate e vassoi, soprattutto di metallo (quelli di legno sono più caldi ma non altrettanto igienici). Rispetto alle vetrine, l’esposizione all’aria permette anche la diffusione dell’aroma e invoglia quindi il cliente all’acquisto.
Fondamentali, non solo per la colazione, sono i dispenser di tovagliolini, di solito nei formati da 17×25 cm o 17×17 cm, anche se ne esistono di più grandi. Si può optare per modelli ad alta capacità, che arrivano a contenere fino a un migliaio di tovaglioli, quelli da tavolo da 200-300 l’uno e quelli da banco, che di norma sono una via di mezzo.
Per il banco sono da consigliare quelli fissi e quelli che si possono incassare: prevedetene uno a uso dei barman e dei camerieri in modo che possano darlo al cliente con facilità. I tovaglioli possono essere monovelo o doppiovelo, con diversi tipi di piegature. Di norma sono invece da evitare i modelli «aperti» di portatovagliolo, che non garantiscono lo stesso livello di igiene e finiscono «saccheggiati» in breve tempo.
…e all’aperitivo
In Italia c’è solo un momento della giornata paragonabile a quello della colazione: l’aperitivo. In questa fascia oraria, che va indicativamente dalle 18 alle 21 ma può estendersi anche oltre, in un senso o nell’altro, il bar quasi si «trasforma» in un piccolo ristorante.
L’evoluzione di questi ultimi anni ci ha mostrato come da semplici stuzzichini che accompagnavano drink alcolici e analcolici, le cibarie abbinate abbiano attraversato una complessa metamorfosi fino alla situazione attuale: oggi non è inusuale in locali che offrono vere e proprie piccole cene, dall’antipasto al dolce passando per primo e secondo, in diverse formule (a buffet o con «refill» più o meno costante da parte del cameriere). L’atmosfera di convivialità e conversazione che si viene a creare invoglia a consumare più di un drink e a creare un forte rapporto di fidelizzazione con il locale, che ha così a disposizione un nuovo terreno di confronto con le attività analoghe per spiccare e risaltare.
Ecco perché la formula dell’aperitivo va studiata con la massima cura anche per quello che riguarda le forniture: ormai è sconsigliato, a meno di target particolari e di esercizi altrimenti connotati, limitarsi a qualche oliva o patatina fritta in un piattino.
Per prima cosa bisogna decidere se l’aperitivo sarà a buffet oppure verrà portato volta per volta ai clienti dai camerieri. I vantaggi della prima soluzione sono un minor impegno per il personale ai tavoli, che può limitarsi a prendere le ordinazioni relative ai drink e ai cocktail e una centralità della zona adibita al cibo che permette un più pratico rifornimento; nel secondo modello, si può calibrare meglio quanti piccoli assaggi assegnare a ciascun tavolo, evitando gli sprechi, e non c’è la necessità di strutture per la conservazione del cibo caldo o freddo, come vetrinette o vaschette.
La dotazione di apparecchiature necessarie per il buffet dipende dal tipo di cibo che si intende servire (freddo o caldo, con preparazioni più o meno complesse); qui si possono spendere anche parecchie migliaia di euro nei locali più grandi, ma si tratta di un investimento che può essere ripagato in breve tempo se si riesce a intercettare un buon numero di persone in uscita dall’ufficio con un’offerta di ottima qualità.
Una volta fatta la stima del traffico si provvede all’acquisto delle posate e stoviglie, in massima parte cucchiai, forchette e piattini; scegliete una ceramica che garantisca durata e resistenza, viste le sollecitazioni considerevoli alle quali sarà sottoposta. Per quanto riguarda invece le posate, di solito si scelgono in acciaio inox (18/10, al cromo-nichel, sono le migliori, seguite da 18/0 e 13/0), ma non è infrequente il ricorso a posate di plastica, ovviamente poco adatte se vengono servite pietanze di una certa consistenza.
Naturalmente, a seconda della complessità del cibo preparato sarà necessario anche acquistare elettrodomestici professionali per attività commerciali come impastatrici, frullatori, tritaghiaccio (quasi indispensabile in un bar), drink mixer, frullatori per frappè e perfino affettatrici.
I frigoriferi a vetrina e a pozzetto, il banco gelati, gli abbattitori
Moltissimi bar, specialmente nelle località preferite per la villeggiatura estiva, offrono anche alla loro clientela gelati confezionati, che vengono custoditi nei frigoriferi. Ne esistono fondamentalmente due tipi: quello a vetrina, che viene utilizzato anche per bibite e drink vari, e quello a pozzetto, per tradizione diviso in due parti.
Si tratta di elettrodomestici che, prima di tutto, comportano una spesa elevata non tanto nell’acquisto ma nella manutenzione e nel consumo energetico: ecco perché è sempre bene accertarsi che la classe energetica sia A o superiore. Assicuratevi inoltre che la capienza (in litri) sia quella da voi desiderata e vi sia la possibilità di cambiare l’altezza delle griglie interne. La temperatura di esercizio deve essere sufficientemente alta da garantire una refrigerazione corretta anche quando il frigorifero è pieno e nei giorni più caldi dell’estate: di norma, almeno diciotto gradi sotto lo zero. Meglio se è presente una funzione di sbrinamento.
Una variante per i bar che offrono gelato sfuso artigianale è quella del banco per gelati: qui la refrigerazione può essere applicata ai contenitori a parallelepipedo con il gelato «a vista» o (meglio, soprattutto se si tratta di gelato artigianale ottenuto senza additivi, e quindi più portato a sciogliersi) a pozzetto, con doppi coperchi. Nel caso di un banco a gelati non a pozzetto è necessario naturalmente anche dotarsi dell’apposita vetrina, non indispensabile quando il gelato è custodito nei pozzetti: il vetro, temperato, dovrebbe garantire una temperatura interna di quindici gradi sottozero. Il piano espositivo deve essere di acciaio o di vetro (soprattutto nei modelli più recenti). I modelli più moderni e costosi di vetrina per gelati sono dotati di sistemi per la refrigerazione ventilata, in modo da raggiungere più in fretta il raffreddamento desiderato.
Inoltre c’è da considerare che i bar, come i ristoranti e in genere i locali dove vengono serviti alimenti freschi, devono avere anche un certo numero di frigoriferi classici dove conservare torte e surgelati: questi sono custoditi in una zona non accessibile al pubblico e sono privi di vetrine.
Per i bar che praticano il bartending molecolare, può essere una buona idea anche procedere all’acquisto di un abbattitore, necessario quando un liquido deve raggiungere bassissime temperature in breve tempo (un cibo cotto, ad esempio, può essere portato da novanta gradi a tre in meno di un’ora e mezza) e non si può ricorrere al ghiaccio secco: si tratta di apparecchi piuttosto costosi (si va almeno dal migliaio di euro in su) ma possono servire anche per altre evenienze, come quella di raffreddare in fretta spumanti e champagne prima di un brindisi.
L’abbattitore diventa assolutamente obbligatorio se il bar offre sushi, perché per legge quando si serve pesce crudo in un esercizio è indispensabile passarlo prima nell’abbattitore.